Esistono due tipologie di separazione, che seguono procedimenti diversi.
La prima è la separazione consensuale, che si caratterizza per la celerità e la brevità del giudizio. Si potrà introdurre solo se i coniugi raggiungono un accordo su tutte le questioni, dall’affidamento dei figli agli aspetti più strettamente patrimoniali. Tale accordo, che deve essere confermato davanti al Presidente del Tribunale ed acquista efficacia e validità con la c.d. omologazione del Tribunale.
Il procedimento di separazione consensuale non prevede in nessun caso la possibilità di addebito a carico di un coniuge.
Generalmente, il procedimento di separazione consensuale si risolve in una unica udienza, fissata nell’arco di qualche mese dal Presidente del Tribunale, davanti al quale i coniugi compaiono per sottoscrivere le condizioni di separazione concordate, che il Giudice comunque omologherà, dopo avere esperito il preliminare tentativo di conciliazione, solo dopo avere verificato la rispondenza all’interesse dei figli.
Può addivenirsi alla separazione consensuale, oltre che con il ricorso presentato al Presidente del Tribunale, anche attraverso:
- la procedura di negoziazione assistita di cui alla Legge numero 162 del 2014, con la necessaria assistenza di un avvocato per ciascun coniuge;
- un procedimento posto in essere presso il competente Ufficio Comunale dello Stato civile, possibile soltanto laddove dalla coppia non siano nati figli e dalla separazione non conseguano attribuzioni patrimoniali. Soltanto in questo caso è possibile separarsi senza essere assistiti dall’avvocato.
La negoziazione assistita è il procedimento di “separazione breve”, perché solitamente si definisce in un mese. Gli avvocati di ciascun coniuge curano gli incontri con i propri assistiti nonché la stesura di un accordo di separazione, che dovrà essere sottoscritto da entrambi i coniugi, per essere successivamente preso in esame dal Pubblico Ministero ai fini del rilascio del nulla osta e quindi trasmesso all’ufficiale dello stato civile.
Con la sola assistenza dei rispettivi difensori si può ottenere la separazione anche in presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
La separazione consensuale a mezzo di negoziazione assistita richiede necessariamente l’assistenza di un avvocato per ciascun coniuge.
Ove dalla coppia non siano nati figli o questi siano economicamente autosufficienti, è possibile separarsi anche senza l’assistenza dell’avvocato. In questo caso ai coniugi sarà sufficiente recarsi presso l’ufficio di stato civile del Comune dove risiedono oppure in quello dove hanno contratto matrimonio. I costi, senza l’assistenza dell’avvocato quando ciò è possibile, sono di soli 16 euro da versarsi all’ufficio di stato civile del Comune competente.
La seconda forma è la separazione giudiziale, che è un giudizio che, purtroppo, può durare anche anni, soprattutto se vi sono forti contrasti circa l’affidamento dei figli, il loro mantenimento o il mantenimento del coniuge economicamente più debole, con notevole aumento dei costi.
Non è necessario, per richiedere una separazione giudiziale, che ci sia stata una violazione degli obblighi che derivano dal matrimonio, essendo sufficiente che sussistano circostanze di fatto che rendono intollerabile la prosecuzione del rapporto.
Il nostro ordinamento giuridico prevede anche l’ipotesi della cosiddetta separazione con addebito o separazione per colpa (art. 151 c. c.). La pronuncia di addebito richiede una specifica domanda di una delle parti. Il giudice deve valutare il comportamento o i comportamenti contestati (cioè che si assumono in violazione dell’art. 143 c.c.) e, assunte le prove atte a dimostrare la sussistenza di condotte in contrasto con gli obblighi matrimoniali, provvede pronunciando sentenza di separazione con addebito, se ne ricorrono i presupposti. È necessario, ai fini dell’accoglimento della pronuncia di addebito, che venga accertato che la condotta contraria ai doveri coniugali abbia determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Naturalmente è necessario verificare che il comportamento in questione si sia determinato nel perdurare della convivenza e prima della crisi coniugale.
Se, infatti, la crisi matrimoniale è preesistente, non può esservi una pronuncia di addebito. La Corte di Cassazione più volte ha ribadito questo principio occupandosi dell’ipotesi di tradimento, affermando che non basta un’infedeltà coniugale per un addebito della separazione, occorrendo sempre verificare se l’infedeltà sia stata la causa della crisi di coppia o se invece sia stata la conseguenza di una crisi. Sono causa di addebito anche la violazione del dovere di collaborazione e di assistenza morale, l’ingiustificata violazione dell’obbligo di coabitazione di cui all’articolo 144 c.c; la violazione dell’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia.
Conseguenze della pronuncia di addebito sono le seguenti:
- perdita del diritto all’assegno di mantenimento da parte del coniuge al quale è stata addebitata la separazione;
- perdita dei diritti successori. Tuttavia, se il coniuge cui è stata addebitata la separazione godeva del diritto agli alimenti legali (cosa diversa dal mantenimento), avrà diritto ad un assegno vitalizio (in eguale misura) da porsi a carico dell’eredità.
Il coniuge cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato gode, invece, degli stessi diritti successori del coniuge non separato.
La competenza per le cause di separazione giudiziale è del Tribunale del luogo di ultima residenza comune dei coniugi o, in mancanza, del luogo dove il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio. Qualora quest’ultimo abbia la residenza all’estero o risulti irreperibile, la competenza è del Tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente o, se anche questo si trovi all’estero, di qualsiasi Tribunale della Repubblica.
Il giudizio è strutturato in due fasi, la prima presidenziale, che si conclude con l’adozione dei provvedimenti temporanei in punto di affidamento, collocazione dei minori, mantenimento del coniuge e dei figli, ed una seconda dinanzi al Giudice Istruttore, che viene nominato dal Presidente e che si svolge secondo le forme del rito ordinario.
Il provvedimento emesso a conclusione del procedimento di separazione giudiziale ha la forma di sentenza. Attualmente, il giudice può dichiarare la separazione immediatamente, già a seguito della prima udienza, seppur con sentenza non definitiva, cosicché resteranno da definire in un secondo momento solo gli aspetti controversi. Il fine principale di tale accelerazione procedurale è quello di permettere ai coniugi di chiedere il divorzio anche prima dell’emissione della sentenza definitiva.
Occorre precisare che la separazione giudiziale può essere trasformata in separazione consensuale anche una volta avviato il giudizio. Lo stesso, tuttavia, non può dirsi nel caso inverso.
Gli effetti della separazione legale sui rapporti personali tra coniugi.
Pur non facendo venir meno lo status di coniuge, la sentenza (ovvero il decreto di omologazione) che pronuncia la separazione incide necessariamente sugli obblighi gravanti sui coniugi a norma dell’art. 143 del codice civile.
Per quanto concerne i rapporti personali fra i coniugi, si sospende l’obbligo di coabitazione nonché l’adempimento degli obblighi di assistenza morale e di collaborazione, fatta eccezione per quanto riguarda la prole.
Quanto all’obbligo di fedeltà, dottrina e giurisprudenza si sono a lungo confrontate con soluzioni altalenanti. Mentre in alcune sentenze dalla Suprema Corte l’obbligo di cui trattasi deve reputarsi del tutto sospeso, anche perché, in caso contrario, si affermerebbe l’esistenza, in capo ai separati, di un vero e proprio obbligo di castità (cfr., ad esempio, Cass. Civ. sent. n. 6566 e n. 9317 del 1997), secondo un orientamento più recente, che potremmo definire “intermedio”, il coniuge separato che intenda intraprendere una relazione sentimentale sarà tenuto a tenere un comportamento tale da non offendere la dignità, l’onore e la sensibilità dell’altro coniuge. La valutazione va compiuta dal giudice caso per caso, restando a discrezione dello stesso ammettere, ad esempio, che uno dei due coniugi intraprenda la convivenza con un terzo. Tale situazione sarà ancor più delicata se a convivere è il coniuge assegnatario di casa familiare, in presenza di figli minorenni. Ogni eventuale violazione dell’obbligo di fedeltà verificatisi in epoca antecedente rispetto alla separazione consensuale o giudiziale potrà costituire autonoma fonte di risarcimento del danno (o di addebito) a favore del coniuge tradito.
Un’altra eventuale conseguenza della separazione, a prescindere dalla pronuncia di addebito, è la possibilità di ciascuna delle parti di chiedere al giudice che vieti alla moglie l’uso del cognome del marito, quando tale uso sia per quest’ultimo sensibilmente pregiudizievole, ovvero che autorizzi la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall’uso possa derivarle grave pregiudizio (art. 156-bis c.c.).
La separazione legale, infine, incide sull’operatività della presunzione di concepimento della prole in costanza di matrimonio: l’art. 232, comma 2, del codice civile, difatti, prevede che la presunzione in argomento non abbia luogo qualora un eventuale figlio nasca decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dall’omologazione della separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi davanti al giudice, quando quest’ultimo li abbia autorizzati a vivere separatamente con provvedimento provvisorio.
Gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.
Con l’entrata in vigore della legge sul c.d. divorzio breve, il legislatore ha modificato l’art. 191 c.c. inserendo un’ulteriore comma che prevede che la comunione legale dei coniugi si scioglie, in caso di separazione giudiziale, nel momento in cui il Presidente del Tribunale, alla prima udienza di comparizione, adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti ed autorizza i coniugi a vivere separati, e in caso di separazione consensuale, dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione dei coniugi dinanzi al Presidente, purché successivamente omologato.
Una questione da regolamentare, data la cessazione della convivenza, è quella relativa all’assegnazione della casa familiare nell’ipotesi in cui la coppia non abbia figli. Ed infatti, in tal caso, la casa familiare non può venire assegnata esclusivamente al marito o alla moglie, a meno che entrambi non raggiungano un accordo sul punto in tal senso. Si dovrà, invece, effettuare un distinguo tra due situazioni: qualora sia di proprietà comune, si potrà richiedere la divisione giudiziale dell’immobile, qualora sia di proprietà esclusiva, rientrerà nella sfera di disponibilità esclusiva del coniuge proprietario. Rimanendo inalterato lo status di coniuge, inoltre, ciascuno di essi avrà diritto a una quota della pensione di reversibilità e, salvo il caso di separazione giudiziale con addebito pronunciata con sentenza definitiva, resterà titolare, altresì, dei diritti successori in caso di sopravvenuto decesso del consorte durante tale fase transitoria del rapporto.
Per quanto concerne, più in generale, la gestione dei rapporti economici tra i coniugi, infine, è necessario trattare separatamente le due forme di separazione legale: in caso di separazione consensuale, i coniugi stipulano autonomamente un accordo da sottoporre successivamente al vaglio dell’Autorità Giudiziaria tramite l’omologazione. Il contenuto dell’accordo medesimo sarà la disciplina dei loro reciproci rapporti patrimoniali e, in particolare, potrà avere ad oggetto: la divisione di beni comuni, l’assegnazione ad uno dei coniugi di beni di proprietà comune o esclusiva dell’altro coniuge, il riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge debole.
Qualora si addivenga, invece, a una separazione giudiziale, l’effetto immediato è solo quello dello scioglimento dell’eventuale regime di comunione legale, mentre i beni restano di proprietà comune ovvero esclusiva dei coniugi, a seconda dei casi e sulla base della disciplina ex art. 179 e ss. del codice civile. Ai sensi di tale norma, ad esempio, i beni da considerarsi “personali” (secondo i criteri delineati dalla disposizione in commento) e i beni il cui acquisto è stato precedente al matrimonio rimangono di proprietà esclusiva del coniuge intestatario. Medesima soluzione si ha, altresì, per l’ipotesi in cui sia stato scelto il regime di separazione legale dei beni, già nel momento delle nozze oppure in un qualunque tempo successivo.